Breve introduzione a Sergio Massetti

di Roberto Guerrini 

Già ad un primissimo sguardo, i lavori proposti da Sergio Massetti dispiegano tutta la loro immediata ed evidente “verità”. Una verità, forse fin troppo ovvia, fatta di rigorosa e sapiente perizia tecnica, di equilibrio compositivo (grafico, cromatico, ritmico e spaziale), d’eleganza e perfetta puntualità progettuale ed esecutiva, di sintesi formale e narrativa, di proposte didascaliche all’altezza della situazione.

Tuttavia, un simile livello tecnico è in parte dovuto alla “perfettibilità” che il tipo di cartotecnica proposta dall’autore prevede in sé; inoltre, simili livelli “professionali” di abilità e controllo costituiscono, quasi del tutto immancabilmente, il necessario bagaglio operativo di chi, come Sergio Massetti, proviene dal settore della grafica pubblicitaria, un settore della produzione e della comunicazione dove, per ovvie necessità, l’eventuale censura su livelli di professionalità insufficienti è costantemente presente ed attiva.

Però, liquidare Sergio Massetti come un bravissimo e puntuale artigiano della cartotecnica e tecniche affini è, ancorchè ovvio, a mio avviso inadeguato ed insufficiente e non renderebbe giustizia al suo lavoro e alla sua ricerca. Perché a mio avviso c’è di più.

 

Ritengo che nei suoi lavori siano rintracciabili alcune cifre di un fare artistico e di una poeticità in grado di attestarsi ben oltre la mera perfezione tecnica o la, pur necessaria ed impeccabile, “qualità professionale”.

 

Qualche piccola, ma necessaria considerazione, per meglio proseguire il discorso.

 

– Primariamente è importante capire che un segno, qualsiasi segno o traccia sensibile, con buona pace della definitoria formula medievale “aliquid stat pro aliquo”, talvolta rappresenta (come, ad esempio, sia la matematica che una rilevante parte dell’arte moderna e contemporanea, hanno ampiamente posto e dimostrato), sé stesso. Un segno (talvolta) esprime e significa quindi semplicemente e compiutamente sé, il proprio essere condizione. Ed è, come accennavo, proprio in virtù di ciò, che le entità matematiche si rifiutano risolutamente di essere altro da sé o che, passando ad altro ambito esemplare, opere come (giusto per citare riferimenti facilmente riconoscibili e rintracciabili) “One and Three Chairs” di Joseph Kosuth, oppure una qualsiasi proposta di sperimentazione materica di Alberto Burri, propongono “segni” (dati sensibili) che impongono e significano tautologicamente sé stessi.

Ad ulteriore supporto di questa breve casistica, si potrebbero chiamare in causa anche diversi ambiti della riflessione e dell’indagine artistica e filosofica pure lontani da speculazioni segniche esclusivamente legate a fatti grafici, pittorici e/o materici: basterebbe pensare (mi limito a quest’unica citazione per ovvie ragioni di tempo e di spazio) a tutta la sperimentazione vocale dell’ultimo (soprattutto) Demetrio Stratos (c.f.r. “cantare e suonare la voce”).

Dunque, in buona sostanza, si può affermare che non sempre il senso di un segno viene chiamato da un altro segno che lo interpreta.

Altrimenti detto, se la celebre pipa dipinta da Renè Magritte (La Trahison des imagesCeci n’est pas une pipe) non è una pipa, l’opera “Due cubi modulari aperti, sfalsati” di Sol Lewit  è costituita e coincide con due autentici cubi modulari aperti e sfalsati che, formalmente e metaforicamente, non significano altro da ciò che sono.

In breve e semplificando un po’ le cose è (“aristotelicamente”) sostenibile che esiste quindi un’arte che indaga, interpreta e comunica altro da sé ed un’arte per l’arte, che parla di sé attraverso sé.

 

– Delle arti o, per meglio e più coerentemente dire oggi, delle proposte di comunicazione (per motivi complessi, articolati e certamente non qui affrontabili e dipanabili) ci colpiscono e ci affascinano soprattutto il loro intrinseco spettacolo, il dispositivo fatto di abilità e trucchi tecnici talvolta spinti al limite dell’incomprensibile, del magico. Tuttavia però, ad un livello appena appena meno superficiale, dell’arte ci affascina altresì il suo sempre presupponibile ambito di significazione ed il livello di indizi di problematicità che è in grado di porre; ci affascina e ci interessa quindi la riflessione che ogni linguaggio pone sulle cose, ma anche su e attraverso sé stesso.

 

– Nell’arte (tutte le arti, da quella letteraria a quella figurativa e figurale, dalla musicale alla coreutica e altro ancora) si possono riscontare tre fondamentali “modi” o forme di comunicazione o di espressione che si attestano in virtù di: la preminenza della forma sul racconto (o contenuto), la preminenza del contenuto sulla forma, il sostanziale (e complicatissimo) equilibrio tra i due elementi.

 

Bene, se tali considerazioni hanno un qualche “diritto di cittadinanza”, diventa forse più semplice capire in virtù di che cosa proposte come quelle di Massetti abbiano una valenza decisamente “artistica” e rappresentino innegabilmente sia vettori di bellezza, quanto occasioni di spunti conoscitivi e riflessivi.

Ecco allora che la rigorosa e sapiente perizia tecnica, l’equilibrio compositivo (grafico, cromatico, ritmico e spaziale), l’eleganza e la perfetta puntualità progettuale ed esecutiva, la sintesi formale e narrativa e le puntuali e colte proposte didascaliche (prima citate) divengono, oltre che cifre  tecniche e “professionali”, premesse autenticamente e necessariamente artistiche.

Come abbiamo brevemente visto, sono autorizzabili e pensabili molteplici modi di definire l’attività artistica: tra i molti, si può però incontrovertibilmente ritenere che l’artista è tale se capace di un rapporto speciale e privilegiato con e attraverso la materia (che propone e tratta), se è in grado di andare costantemente oltre l’autoreferenzialità fenomenica delle cose e, investigandone organicamente l’apparenza, ne trae orizzonti di senso e di significazione sempre nuovi ed inediti.

Altrimenti detto, Massetti oltre a dimostrare inequivocabilmente ciò che si può fare tecnicamente con la carta, dimostra altresì i molti ed inediti aspetti dell’intima natura della carta; per dirla con una scherzosa metafora kantiana, è come se Massetti fosse in grado di estrapolare dalla carta la sua “carteità”, le apparenze più profonde della sua essenza.

Senza esagerare si potrebbe dire che Sergio Massetti è un poeta della carta e a tu per tu con opere come, ad esempio, “Corte”, “Riviera”, “Tram dinamico”,“Centro”, ”Rio Maggiore”,“San Lorenzo” o, anche e perché no, “Dorabella” e “Gradisca” (giusto per citarne alcune, ma altre ce ne sono e, ritengo, ce ne saranno) è sicuramente possibile rendersene conto.

 

 

 

Non conoscevo Sergio Massetti; ignoravo completamente il lavoro di questo singolare (e bravissimo) artista finché non ho avuto l’opportunità di visitare una sua piccola, ma preziosa  mostra personale intitolata “Il gioco delle carte”, allestita nel mese di gennaio 2014 a Genova presso la galleria Capoverso – Arte Contemporanea Eventi. Si trattò della terza di una serie di mostre dedicate alla materia carta tutte organizzate e curate dalla gallerista Stefania Ghiglione.

 

La mostra mi piacque moltissimo; la guardai e riguardai lungamente ed attentamente e per tutto il percorso e le ripetute soste davanti ai lavori esposti non sono riuscito a trovare (neanche malignamente) nulla che non mi piacesse o che non trovassi pertinente, interessante, puntuale, credibile.

Eppure, per formazione, professione, mestiere e curiosità personali, il mondo dell’arte della carta non mi era obiettivamente sconosciuto. In molte occasioni ebbi modo di vedere e rivedere esiti artistici, più o meno interessanti o importanti, legati a tecniche come il collage, i papiers plies, l’origami, il kirigami, il papercraft, o al modellismo cartotecnico variamente declinato; molteplici ed eterogenee modalità di interagire con l’elemento carta ampiamente visitati da molti artisti ed in diverse epoche e contesti.

E allora, a che cosa era dovuto tutto questo mio entusiasmo ed interesse? Perché il lavoro di Massetti mi ha così colpito?

Dalle successive riflessioni sulle ragioni di tale e particolare attrazione è emerso quanto, con tutta la modestia del caso, ho posto, con il solo scopo di fornire qualche indicazione orientativa e qualche spunto di riflessione, all’attenzione del lettore.